Intervista all’autrice del libro “I Guardiani delle Aquile”, la scrittrice Maria Elisabetta Giudici
Maria Elisabetta Giudici, in libreria con il nuovo romanzo “I Guardiani delle Aquile” pubblicato da Castelvecchi Editore. L’autrice in pochi anni ha pubblicato Il re di carta, edito da Lit Emersioni, vincendo il premio Histonium 2019. Con il secondo romanzo La foresta invisibile, edito da Castelvecchi, ha vinto il premio Acqui Terme 2020, il premio inediti Etna Book 2020 e il premio Pegasus Cattolica 2021. Ecco l’intervista che ha rilasciato a noi di Fix On Magazine.
Vuoi descriverci Maria Elisabetta Giudici come donna e come scrittrice?
Innanzitutto, sono un architetto la cui principale attività è inventare case. Vivo in campagna nel Parco Nazionale di Abruzzo Lazio e Molise dove gestisco il mio resort, come secondo lavoro. Ho iniziato a scrivere solo da tre anni, ma è tale la felicità che mi procura questa attività che mi sembra di farlo da sempre. Qualcuno si chiederà come mai un architetto si sia messa a scrivere non un compendio di architettura o un manuale tecnico, ma romanzi per di più storici. Architetto e scrittore sono la stessa cosa, entrambi inventano mondi, uno li ritrae con la matita, l’altro con la penna. Riguardo la storia, mi ha sempre appassionato fin da bambina e l’interesse che mi suscita la ricerca di eventi, fatti e curiosità è un’attività che non abbandonerei mai.
“I Guardiani delle Aquile” è il tuo nuovo romanzo, edito da Castelvecchi Editore. Com’è nato questo titolo così particolare?
Il titolo nasce da un mio viaggio in Asia centrale dove incontrai i cacciatori con le aquile, giovani che vanno a caccia con un’aquila addestrata come arma. Fu uno di loro a dirmi di non essere il padrone dell’aquila, ma semplicemente il suo guardiano.
Ci racconti il percorso emotivo e di ricerca che ti ha portato alla stesura del romanzo?
Il percorso emotivo è stata la scoperta di una natura forte, immota ma nello stesso mobile, dove la realtà cambia ogni giorno, inoltrandosi in un territorio apparentemente ostile ma di immensa ospitalità. Da quelle parti ti vien voglia di abbandonare il tuo mondo cosiddetto civile, di lasciarsi indietro quella brutta sensazione che è l’essere immersi in quell’eterna ripetizione di se stessi, e di immergersi in quel movimento nomade che caratterizza quei deserti. È proprio di questo muoversi in questo territorio le cui distanze si raccontano per paragoni di cui mi sono innamorata e di cui ho voluto scrivere.
Quale è stato il momento più complesso durante la fase di scrittura del libro?
Il momento più complicato è stato rendere coerente il racconto nella stesura della trama. Parliamo di caccia tra uomini, di spie, di colpi di scena, da inserire in questo territorio apparentemente deserto e immobile, e dar loro movimento, azione e suspence.
Concludendo, quale messaggio vuoi trasmettere a coloro che leggeranno “I Guardiani delle Aquile”?
Ho voluto semplicemente comunicare le mie emozioni riguardo quei luoghi. Il luogo per me è un territorio espressivo di identità, è la patria dell’anima, è tutto ciò che ci determina. I miei personaggi viaggiano sempre, non stanno mai fermi, sono quasi ipercinetici, e il viaggio è per me una porta aperta che ti fa passare da una realtà a un’altra, e ogni realtà ha come sfondo un luogo.
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